Intervista a... Spartaco Albertarelli
Intervista a… Spartaco Albertarelli
Benvenuto su Ruoliclassici Spartaco, raccontaci un po’ di te e di come è nata la tua passione verso i giochi da tavolo.
Grazie a voi per avermi invitato a questa chiacchierata. La mia passione per il gioco è nata, come per molti, durante l’infanzia. Si comincia esplorando i giochi più classici, quelli che tutti conosciamo, per poi scoprire pian piano che esistono alternative affascinanti e spesso inaspettate. Appartengo alla generazione dei “wargamer”, caratterizzata da grandi battaglie e simulazioni di guerra.
Il gioco che ha acceso in me questa passione è stato una simulazione della battaglia di Waterloo, disegnata da Guido Crepax e pubblicata sulla rivista “Linus”. All’epoca ero troppo piccolo per comprendere appieno quel tipo di giochi, ma anni dopo, leggendo la rivista per i fumetti, mi ritrovai davanti a quegli incredibili soldatini di carta da ritagliare e disporre sul campo di battaglia.
Da lì è nata una passione che non si è limitata al gioco in sé, ma si è trasformata in un interesse storico per le vicende che quei giochi raccontavano. Questo interesse per la storia mi ha portato a scoprire un fatto sorprendente: gli esseri umani giocano da millenni, e tra i giochi di oggi e quelli di Tutankhamon, le differenze non sono poi così profonde.
Da questa consapevolezza ha preso forma tutto il mio percorso, sia personale che professionale.
Sappiamo che hai contribuito insieme al compianto Giovanni Ingellis allo “sbarco” della scatola rossa di Dungeons and Dragons in Italia, raccontaci come vi siete conosciuti, dove e quando e se esistono aneddoti e curiosità in merito.
Frequentavamo entrambi un gruppo di appassionati che, non a caso, si chiamava La Grande Armée. Un giorno, Giovanni scopre che sono il nipote di Rino Albertarelli, celebre fumettista degli anni ’50 e ’60 e uno dei fondatori di Lucca Comics. Mio zio Rino era il suo mito, e da quel momento diventiamo ancora più amici…
Così, inizio a frequentarlo anche al di fuori degli incontri dedicati al gioco, e scopro un dettaglio curioso: Giovanni era lentissimo a scrivere con la macchina per scrivere (sì, stiamo parlando di un’epoca in cui il digitale era ancora un sogno), mentre io ero velocissimo. Mio padre, giornalista, mi aveva trasmesso quelle abilità, dato che ero destinato a seguire le sue orme.
In poco tempo, divento il suo collaboratore più stretto: riuscivo a fare in un giorno ciò che lui avrebbe impiegato una settimana a completare. Mi pagava in giochi, e per me era perfetto: tanto, se mi avesse pagato in denaro, quei soldi li avrei comunque spesi in giochi.
Cominciammo a lavorare insieme su diverse traduzioni, e tra queste c’era anche quella di un gioco particolare che già conoscevamo e amavamo nella sua versione inglese. Quel gioco era Dungeons & Dragons.
La Editrice Giochi ha pubblicato Dungeons and Dragons dagli esordi fino ai primi anni ‘90, la grande distribuzione ha sicuramente dato una bella spinta alla diffusione del gioco di ruolo in Italia tanto da portare alla creazione di giochi nostrani. Raccontaci di come la Editrice Giochi è arrivata alla scelta di pubblicare D&D e di quel periodo così fiorente.
Non ho mai capito davvero cosa spinse una casa editrice come Editrice Giochi a lanciarsi su Dungeons & Dragons.
Erano abituati a titoli come Monopoli, Risiko, Scarabeo, Cluedo, e in generale ai grandi classici “mainstream” (come li definiremmo oggi). D&D era completamente fuori dal loro repertorio tradizionale.
Quello che so, però, è che questa scelta rappresentò una grande fortuna per me. Ben presto si resero conto che non bastava tradurre e pubblicare il gioco: serviva qualcuno che ne capisse davvero qualcosa. Giovanni suggerì il mio nome, e così mi ritrovai a sostenere un colloquio di lavoro. Venne deciso di assumermi come uno dei primi membri dell’ufficio Ricerca e Sviluppo, un reparto che, anni dopo, avrei avuto l’onore di dirigere.
Di fatto, divenni il responsabile editoriale di Dungeons & Dragons per l’Italia, ma il mio ruolo andò ben oltre. Mi trovai a fare anche il game designer, e nel 1987 lanciammo Visual Game, che si rivelò un enorme successo.
Dungeons & Dragons in Italiano ebbe una sua storia editoriale, potremmo sapere come mai ad esempio la scatola “Immortal” non fu mai tradotta e come mai al posto dell’Atlante n.5 che in originale era dedicato agli Elfi di Alfheim fu invece tradotto l’atlante n.10 dedicato agli Orchetti di Thar? E come mai non furono tradotte tutte le avventure?
Con il passare del tempo, Editrice Giochi iniziò a collaborare direttamente con TSR, instaurando un rapporto molto stretto. Pur avendo una certa libertà nelle scelte editoriali, spesso ci affidavamo anche ai loro dati di vendita per orientare le decisioni.
Per quanto riguarda l’Atlante 5, è passato troppo tempo per poterti dare una risposta precisa, ma con ogni probabilità decidemmo di dare priorità ai titoli che sembravano avere le migliori prospettive sul mercato.
La questione della scatola Immortal, invece, è molto più chiara. La TSR, a quel tempo, stava attraversando una grave crisi economica, in parte dovuta a una produzione eccessiva di titoli che non riuscivano a vendere abbastanza. Per cercare di risollevarsi, aumentarono il prezzo per il rinnovo del contratto con EG. Tuttavia, la cifra richiesta fu considerata inaccettabile, e il contratto non venne rinnovato.
Di conseguenza, la scatola Immortal rimase nel cassetto, mai pubblicata.
Nel 1993 hai creato insieme a Nick Gandolfi e Paolo Parente, il gioco di Ruolo Druid, raccontaci la genesi e perché dopo appena una espansione il gioco fu abbandonato.
Dungeons & Dragons funzionava molto bene, soprattutto grazie alla scatola rossa, che arrivò a vendere quasi 20.000 copie in un solo anno. Questo successo ci spinse a pensare che fosse naturale provare a creare un gioco di ruolo tutto nostro.
Nick lavorava con me in Editrice Giochi, mentre Paolo era un amico d’infanzia con cui avevamo condiviso mille serate di gioco. La squadra sembrava perfetta: Nick era bravissimo a scrivere storie, Paolo non aveva bisogno di presentazioni per il suo talento artistico, e io me la cavavo bene con le regole.
Purtroppo, il progetto venne abbandonato con la fine del contratto con TSR. Senza Dungeons & Dragons, non aveva senso portare avanti un’opera editoriale così ambiziosa. Così tornammo a concentrarci sui giochi da tavolo più tradizionali.
L’anno successivo pubblicammo Kaleidos, e con quello si aprì un altro capitolo importante della mia carriera.
Oltre essere stato Game Designer per la Editrice Giochi la tua carriera è proseguita fino all’attuale KaleidosGames, Vektorace ad esempio ha un seguito davvero degno di nota, con campionati e gare che si svolgono in tutta Italia. Raccontaci di questo gioco e dei tuoi successi.
KaleidosGames prende il nome proprio da quel gioco, Kaleidos, che nel 1995 arrivò a contendere lo Spiel des Jahres a un giochino destinato a un certo successo: I Coloni di Catan…
Malgrado l’inevitabile sconfitta, Kaleidos vinse altri premi in giro per l’Europa e ottenne un grande successo. Può sembrare strano oggi, ma all’epoca, pubblicare un gioco indipendente dalla lingua era una mezza rivoluzione. Ancora oggi, dopo quasi 30 anni, continua a vendere molto bene, al punto da essere diventato la spina dorsale della mia piccola casa editrice.
Vektorace, invece, ha una storia particolare. È un progetto che ho testato e ritestato per almeno 10 anni, senza mai riuscire a trovare il giusto equilibrio tra complessità e giocabilità. Poi, un giorno, incontro Davide Ghelfi, l’autore di Papecarz, una simulazione di una corsa in stile NASCAR interamente realizzata con modellini di cartoncino da piegare e incollare. Mi sembrava di essere tornato ai tempi dei soldatini di Crepax! Quelle macchinine erano perfette per il gioco che avevo in mente. Così io e Davide abbiamo unito le forze e cominciato a sviluppare il progetto insieme, girando mezza Italia per playtest su playtest. Una vera follia che, però, ha dato vita a una piccola “community” di appassionati.
Grazie al loro entusiasmo, siamo riusciti a realizzare ben due edizioni del gioco. Ancora oggi ci divertiamo a partecipare a qualche piccola fiera, per il puro piacere di incontrare vecchi e nuovi appassionati e, naturalmente, sportellarci in pista come se non ci fosse un domani! Un appuntamento ormai fisso è il torneo annuale che si svolge a GiocAosta, al quale siete tutti invitati: non serve essere esperti per avere la possibilità di vincere!
Guardando la tua ludografia (si trova su Wikipedia) hai all'attivo oltre cinquanta titoli; dove trovi l'ispirazione per creare sempre nuovi giochi e quale è il processo di 'sviluppo' che partendo dall'idea iniziale porta alla scatola con cui noi giochiamo.
La pagina di Wikipedia è un piccolo mistero. Io non ho idea di chi l’abbia creata e chi la tenga aggiornata, però la ludografia è decisamente incompleta. Il conto dei titoli sui quali ho avuto un ruolo di game designer è ormai ampiamente sopra i 150… Ovviamente, molti non riportano il mio nome (la quasi totalità di quelli che ho sviluppato per EG, per esempio), ma il totale è quello. Io faccio il game designer di professione e se vuoi campare di questa professione hai due possibilità: la prima è quella di inventare il gioco del secolo (succede, ma è raro), la seconda è quella di saperne progettare tanti, adeguandoti di volta in volta alle esigenze del mercato. Io ho certamente sviluppato questa capacità e la lunga esperienza in EG mi ha sicuramente dato la possibilità di avere una visione del mercato che è molto diversa da quella che può avere l’appassionato medio. Io sono in primo luogo un giocatore, ma ho imparato a distinguere quello che piace a me da quello che è utile per il mercato. I giochi da tavolo sono ormai diventati un’industria matura e il panorama editoriale è cambiato enormemente in questi decenni. Le case editrici sono sempre più influenzate da logiche finanziarie e guidate da uffici marketing che spingono per cavalcare questa o quella tendenza. La qualità media si è alzata enormemente, ma il successo di un gioco è sempre meno legato all’originalità dell’idea di base. In questo scenario, diventa sempre più importante capire il quadro di insieme ed essere quindi in grado di sviluppare progetti adeguati alle esigenze editoriali. La possibilità di arrivare con l’idea geniale c’è sempre, intendiamoci, ma il mercato è fatto da validi prodotti, non da opere d’arte…
I giochi di ruolo sono cambiati, potremmo dire "evoluti" in questi quarant'anni. Come hai vissuto il cambiamento e come vedi il futuro del gioco di ruolo nel nostro paese?
Questa è una domanda particolarmente insidiosa, perché per dare una risposta rilevante è necessario essere molto competenti in materia. Io lo sono stato, senza dubbio, ma ormai molti anni fa. Quello che ho osservato è stato un calo significativo nelle vendite che un tempo poteva registrare Editrice Giochi, seguito però da una sorta di rinascita dell’intero settore, che oggi mi sembra molto vivace.
Ci sono però dinamiche economiche che mi sfuggono. Vedo prodotti sempre più belli e ricchi dal punto di vista artistico e mi domando come sia possibile conciliare i costi di sviluppo di questi titoli – costi che conosco piuttosto bene – con le tirature di cui sento parlare. Eppure, ogni anno vengono lanciati nuovi progetti, sempre più curati e interessanti. Evidentemente, ci sono aspetti di questo equilibrio economico che mi sfuggono, ma che devono funzionare.
È chiaro che l’evoluzione futura del settore dipenderà in gran parte da questi fattori economici. Non stiamo vivendo un periodo semplice dal punto di vista distributivo, e questo riguarda l’intero mondo del gioco, non solo una sua parte. La mia speranza è che tutti coloro che operano in questo settore sappiano fare i conti nel modo giusto, così da permetterci di godere ancora a lungo di questo straordinario momento creativo e culturale.
Finalmente, negli ultimi anni, sono stati sviluppati in Italia da autori 'nostrani' (passaci il termine) nuove ambientazioni e gdr originali, usciti poi anche sul mercato internazionale e premiati. Te lo aspettavi, lo speravi ? Che ne pensi ?
Questa domanda si lega strettamente alla precedente. Da un lato, la situazione mi riempie di piacere e, lo ammetto, anche di un pizzico di orgoglio personale. Ho fatto parte del gruppo dei “pionieri”, quindi è un po’ come vedere un mondo che hai contribuito, insieme a tantissimi altri, a far “nascere” e che oggi si sta evolvendo in maniera straordinaria.
Il fatto che la creatività italiana stia guadagnando sempre più apprezzamento fuori dai nostri confini è una cosa meravigliosa, ma non dovrebbe sorprenderci. In fondo, siamo noi italiani ad essere spesso un po’ troppo esterofili, dimenticando il valore della nostra cultura e delle nostre capacità. Questo successo internazionale, invece, dimostra che il talento e la creatività italiana hanno tutte le carte in regola per brillare, ovunque.
Quali sono i tuoi programmi futuri per nuovi giochi, idee, iniziative (ovviamente che puoi/vuoi condividere con noi).
Ho i cassetti pieni di idee, progetti e sogni, ma so già che solo alcuni di questi potranno vedere la luce. Questo è il compromesso di essere un professionista: devi saperti adeguare al mercato e alle sue richieste.
Come editore, non mi entusiasma la tendenza a lanciare continuamente nuove uscite. Preferisco considerare ogni titolo come un progetto che merita una prospettiva di durata, qualcosa che non può essere ridotto a un ciclo di pochi mesi. Pubblico quando ritengo di avere un motivo valido per farlo, non per seguire le logiche di un mercato che, a mio parere, sta andando un po’ fuori giri.
Dal lato del game designer, invece, il mio approccio è diverso. Mi adatto alle richieste degli editori, cercando di fornire sempre progetti concreti, pronti e consegnati nei tempi stabiliti. È un equilibrio non sempre semplice, ma necessario per lavorare in modo efficace in questo settore.
Un ultima domanda, cosa ne pensi di questo fiorire di festival del gioco in tutta Italia, secondo te è solo un bene oppure potrebbero inflazionarsi e lentamente scomparire o ridimensionarsi? Qual è il tuo punto di vista?
È importante distinguere tra le grandi manifestazioni e quelle che io ho soprannominato “Salsiccia & Games”. I grandi eventi devono prestare molta attenzione al rapporto tra i costi di partecipazione e il ritorno, sia economico che di immagine. Questo equilibrio sta diventando sempre più sfavorevole per gli editori medio-piccoli, che rischiano di non riuscire a giustificare l’investimento.
Il discorso diventa ancora più rilevante per quegli eventi in cui i giochi finiscono sempre per essere citati dopo la “&”… In questi contesti, il focus sul gioco rischia di essere marginale, e il valore per chi partecipa come espositore o sviluppatore ne risente. È un aspetto che meriterebbe maggiore attenzione da parte degli organizzatori, per evitare che il panorama degli eventi ludici si sbilanci troppo a favore di interessi che poco hanno a che fare con il gioco.
12. Parlaci dell'incontro "Vietato non giocare" che si terrà il 30 novembre 2024 a cagliari
Per quanto riguarda
l’incontro di Cagliari, rappresenta uno dei tanti momenti di
riflessione sull’importanza del gioco e sul suo ruolo sempre più
rilevante nel panorama culturale contemporaneo. La percezione del
gioco da tavolo è profondamente cambiata nel corso degli anni, e
questo cambiamento è evidente, soprattutto, nell’attenzione
crescente verso il game design da parte di istituti, università,
scuole e aziende.
Questi contesti riconoscono sempre più il valore del gioco non solo come strumento di intrattenimento, ma anche come veicolo educativo, formativo e persino strategico, capace di stimolare creatività, collaborazione e pensiero critico.
Fabrizio Gemma
Che il d20 vi sia sempre favorevole!
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